mercoledì 28 giugno 2017

ECCO I CAPOLAVORI DELLE CLASSI 2B E 2C DELLA SCUOLA SECONDARIA DI ARDORE ..ECCO LA NOSTRA CARTELLA SCOLASTICA (2B) ✌👌🙌📙📘📕 ECCO "NOI E IL NOSTRO TERRITORIO" (2C e 2B)👏👏✌🙌👧

Guardate che grandioso lavoro hanno realizzato i ragazzi della 2B della Scuola secondaria di Ardore !
Riceviamo e..pubblichiamo con enorme piacere:

…Ecco la nostra cartella scolastica

Noi ragazzi della 2^B della scuola media “E. Terrana” di Ardore, desideriamo presentarVi, docenti e genitori, la nostra cartella scolastica realizzata partendo da un gioco linguistico: “l’acrostico”.
I lavori sono stati realizzati durante le ore curriculari e di laboratorio inerenti al progetto abilità cognitive e linguistiche con la professoressa Antonietta Nastasi.

Noi “artisti in erba”, abbiamo voluto dare sfogo alla nostra creatività, realizzando su carta (fogli di quaderno, cartoncino, album, cartelloni…) dei lavori semplici ma, significativi per tutti noi. Lo spunto ci è stato dato dalle numerose attività che noi ragazzi abbiamo sviluppato, nel corso di tutto l’anno, durante le ore di lettere con la nostra prof. I temi sui quali abbiamo lavorato sono stati moltissimi ma,nella “nostra cartella” .
Ve ne proponiamo solo alcuni: solidarietà, accoglienza, blog, mafia, legalità, ambiente, salute, territorio, giochi linguistici... In ogni lavoro, abbiamo messo a frutto conoscenze e competenze, abbiamo espresso la nostra personalità e originalità nel vedere le cose e il mondo con occhi un po’ diversi da quella che è la realtà in cui viviamo.






























































































































































Aggiungi didascalia

















E non è finita qui !

Nel corso dell’a. s. 2016/2017, gli alunni delle classi II^B e II^C della Scuola Media di Ardore, e delle classi I-II-III sez. A della Scuola Media di Natile, coordinate dalle prof.sse Nastasi, Romeo e Nucara, hanno partecipato a numerose iniziative, quali: progetti, concorsi letterari, mercatino della solidarietà, mostre…

Tra questi, vi rientra il progetto Noi e il nostro territorio”, nel corso del quale hanno approfondito ed ampliato varie tematiche, inerenti alla scoperta della “propria terra”. 

L’obiettivo di questo progetto, è stato quello di mettere in evidenza i numerosi “borghi” e “segni”, che la storia e i personaggi hanno lasciato nel nostro territorio, rappresentandolo come pagine di un” libro antico” ma, al tempo stesso “nuovo”: da leggere e da scoprire. Per la realizzazione dei lavori, sono stati utilizzati principalmente le ore di approfondimento ed in particolare quelle di lettere.
Parallelamente al progetto sopra citato, gli studenti si sono cimentati in un’attività di laboratorio linguistico, nel corso della quale hanno sperimentato: tecniche narrative e poetiche, inventando storie, componendo poesie, e giochi linguistici, creando: crucintarsi, acrostici, scarti e zeppe…,realizzando, poi, in gruppo, in coppia e singolarmente, dei prodotti su carta.
Le iniziative intraprese, hanno accresciuto le loro conoscenze e competenze, la loro voglia di imparare anche giocando, facendogli scoprire così un mondo nuovo, fatto di parole e segni che, combinati fra loro anche in “modo disordinato”, hanno dato vita a dei capolavori all’interno dei quali, ognuno di essi, ha messo parte della propria personalità e fantasia.
I lavori realizzati, sono stati condivisi col mondo esterno attraverso la piattaforma “Terrana social”, creando un canale di comunicazione nuovo, in cui la scuola, la famiglia ed il territorio, possono  incontrarsi, per contribuire pienamente ed in modo adeguato, alla formazione, didattica ed umana, dell’alunno.

                                                                                                                        Le docenti

                                                                                                             Romeo G., Nastasi A., Nucara G.



Ecco qui di seguito i lavori di Ardore ( i lavori di Natile sono in un altro post a parte intitolato "Vivere la scuola")


LEGGENDA SULL’ORIGINE DI ARDORE

Moltissimo tempo fa, sulle colline alle pendici del monte Tre Pizzi, sorgeva un ridente paesino dal nome Odore, perché i prati intorno erano profumati da una vasta varietà di fiori; accanto vi era un laghetto che portava lo stesso nome.
Il monte Tre Pizzi era un vulcano, ora spento; una sua terribile eruzione ha distrutto il paesino e gli abitanti superstiti sono scappati sulla collina vicina, dove si sono stabiliti dando al luogo il nome di Ardore, per ricordare le fiamme che hanno distrutto il loro paese.
Nello stemma comunale vi è, infatti, questa scritta: ”Ardor et Odor”. Nello stesso stemma, su uno sfondo rosso, vi è disegnata un’aquila con le ali aperte e un ramoscello d’ulivo nel becco; nella pancia, uno scudo con il monte Tre Pizzi in fiamme, per ricordare proprio le origine del paese.






 ORIGINE STORICA DI ARDORE 

Passando dalla leggenda alla storia, è difficile per gli studiosi stabilire l’epoca precisa della sua origine.
Sicuramente, Ardore era, in origine, un villaggio appartenente al casale di Gerace, e sulla fondazione di Gerace gli storici sono discordi.
Si hanno notizie certe solo degli abitatori di queste contrade al tempo degli Enotri, che occupavano tutto il territorio da Squillace allo stretto di Messina. Qualcuno scrive che questo territorio era abitato dai Siculi, come testimoniato dal ritrovamento di reperti archeologici siciliani.
La colonizzazione greca comincia intorno al VII/VIII secolo a.C., quando i locresi costruirono la loro città sulla sinistra della fiumara di Portigliola.
Questa città progredisce per lungo tempo.
Questa zona ha dovuto sostenere molte guerre, che le hanno fatto perdere l’indipendenza e la grandezza subendo l’invasione di molti popoli, da Pirro ai Normanni; nel X secolo la città locrese viene devastata dalle incursioni dei saraceni, per questo motivo tutti gli abitanti trovano riparo sulle colline dove nascono: Gerace, Ardore e altri villaggi.
Il paese dunque sarebbe sorto intorno all’anno 1000 e il suo popolo sarebbe di origine italica e non greca.
Questo territorio viene a subire l’invasione dei Turchi fino all’ultima venuta nel XVII secolo.
Arriviamo fino alla dominazione feudale di Ardore.
Il primo principe di Ardore possedeva tanti privilegi su tutto il territorio.
Quando Ardore si distaccò da Gerace (1546), iniziò la dominazione feudale e passò da un marchesato all’altro fino al periodo in cui la  baronia, comprendente S.Nicola, Ardore e Bombile, passa al duca di Terranova. Ad un certo punto arrivano i baroni di Melicucco, Pietro Gambacorta, che era un eremita, e dopo la sua morte arrivò suo fratello Orazio che vendette le terre al marchese di S.Luca. L’ultimo duca fu un tiranno e per questo venne assassinato nel 1682.
Nessuno dopo di lui ebbe dimora stabile nel castello e, non essendoci stati degli eredi figli, il ducato passò a dei cugini, fino ad arrivare a una nobile illustre famiglia Milano.







TRADIZIONI


Esistono varie leggende e fatti legati ad Ardore. Parleremo oggi di un fatto che risale all’anno 1806, quando era stato sottoscritto un patto di neutralità tra Napoleone Bonaparte e Ferdinando I di Borbone, che in quel momento governava il Meridione d’Italia e, quindi, anche Ardore.
Tale patto venne rotto da Borbone e perciò Napoleone mandò  le sue truppe in Calabria per sottomettere questa terra. Quando Giuseppe Bonaparte arrivò a Gerace, spedì una colonna  militare con l’ordine di saccheggiare e distruggere il paese col ferro e con il fuoco.
Appresa la terribile notizia, i notabili si riunirono per prendere una decisione rapida: l’arciprete, Giuseppe Cusaci, devoto Napoleonico, insieme al clero in paramenti sacri e col Santissimo Ostensorio, si avviarono fuori dalla porta del Dongione, verso la strada che porta alla marina. Le due colonne si incontrarono, il generale Reyhier, francese, fece rendere onore al Santissimo e in seguito chiese chi fosse il Santo che avevano al seguito. Saputo che era San Leonardo di Limoges,  si commosse in quanto suo conterraneo e, riunita la truppa, tornò indietro e il paese fu salvo.
Il popolo attribuì la clemenza del generale ad un prodigio del protettore San Leonardo.
I primi abitatori del territorio sono stati gli Enotri, più precisamente quella sezione degli Itali che abitava la zona tra Squillace e S. Eufemia. La colonizzazione greca incominciò nel secolo VII con i Locresi che si stanziarono da Capo Zeffirio fino alla fiumara di Portigliola. Dopo i Locresi arrivò Pirro e successivamente Annibale, i Bruzii e infine i Romani.
Dopo la frantumazione dell’Impero Romano e l’arrivo dei Barbari, il nostro territorio vide il fiorire dell’Arte Bizantina, Gotica e Normanna. Con l’arrivo dei Musulmani e le loro incursioni che saccheggiarono e devastarono la città di Locri ormai abbandonata, gli abitanti cercano scampo sulle colline adiacenti. In quel periodo sorgono Gerace e Ardore. Ardore sorge intorno al 1000 da una popolazione Italica-Bizantina. Negli anni successivi, questa terra subisce varie volte l’assalto dei Turchi intorno al 1500 e avanti. Fu dominata anche da Feudatari quali Domenico Milano, primo principe di Ardore; fino all’anno 1546 rimane legato allo stato di Gerace. Nel 1563 viene venduta la Baronia che comprende Ardore, S. Nicola e Bombile ad un certo Duca De Marinis. Per una serie di congetture le terre di questo feudo arrivano a Orazio Gambacorta, il quale nasce ad Ardore nel 1629. A lui successe il figlio Carlo Saverio e successivamente il figlio Orazio, che lascia il titolo di Barone e assume quello di Duca. La tradizione afferma che dopo di lui, nessun feudatario ebbe dimora stabile nel castello di Ardore; un proverbio recita: “L’ultimo ad arrivare fu Gambacorta”.






LA LIBERTÀ

Sola speranza che mi reggi in terra,
solo conforto dello spirito mi,
solo pensiero che mi elevi a Dio,
pace e ristoro alla mia lunga guerra.

Quando a te penso  il cuore si dissera
a pure gioie, ad ogni altro desio
e quando dormirò l’eterno oblio,
di te ricorderommi anche sotterra.

Cometa errante che col tuo splendore
abbelli la natura decaduta,
dimmi: Tu brillerai sul mio dolore?

Io non dispero della Tua venuta
e non rinnego al Tuo tardar, ma il cuore

s’attrista e piange ché Tua luce è muta.            (Gaetano Ruffo)







POSIZIONE DEL TERRITORIO

Sull’altopiano di una ridente collina, di fronte al mare Jonio, dal quale dista circa 5Km, sorge il centro storico di Ardore, ad una altezza di 232m sul mare. Lo stesso consta di un territorio a nord denominato San Nicola dei Canali, una popolosa frazione la cui economia è essenzialmente agricola.    
Scendendo verso il mare vi è una frazione denominata Schiavo; ancora più  a sud, lungo la costa che si affaccia sul mare, sorge la frazione più popolosa del comune, denominata Marina di Ardore.

Guardando il mare, a sinistra in una altura, sorge una piccola comunità della frazione di Bombile, dove vi era un caratteristico Santuario dedicato alla Madonna della Grotta, una statua del 1500 in marmo bianco, opera del Gagini. Il territorio comunale confina  a Est e Sud-Est con il Mar Jonio; a Nord col torrente Condojanni,  che la divide dai territori di Sant’Ilario e di Ciminà; a Nord-Ovest con una serie di alture dette Elambo,San Biase e Varraro, che le separano dai territori di Careri e di Platì; a Sud-Ovest il torrente Pintammati la separa dai territori di Bovalino e Benestare.
La superficie del territorio è approssimativamente di 183678 Km2 con 6077 km2 negli anni 70.



Idrografia


Vi sono due torrenti principali che segnano anche il confine con i territori: Condojanni  e Pintammati; tutte e due i torrenti ricevono nelle loro acque quelli di altri piccoli torrenti che scorrono dalle alture verso il mare. Altri torrentelli di poco conto solcano il  territorio: il “Tre Carlini”, che scorrendo verso valle si unisce con alcuni affluenti  prendendo il nome di “Ciamuti”, “Petito” e “Uispico”. 



Il clima



Il clima è molto temperato, l’aria stupenda. In media, la temperatura minima è di 1/10°C e la massima di 30°C, così i freddi  invernali  e i calori  estivi sono moderati. Miti si presentano la primavera e l’autunno. In autunno si verificano abbondanti piogge che invece scarseggiano  in primavera; raramente si verifica il fenomeno della neve. Nel corso della primavera, i venti soffiano di ponente e qualche volta di greco, mentre in inverno è predominante quello di tramontana, molto freddo e di breve durata.
La parte collinare è costituita da rocce e sabbia calcarea, oltre a terreni argillosi. Anticamente, vi erano miniere di nitro per la fabbricazione della polvere per i cannoni.


Fauna e flora

La fauna e la flora del nostro territorio sono prettamente simili a quelli di tutta la regione Calabrese.





La coltura principale è quella dell’ulivo, che cresce numerosa in tutto il territorio collinare e pianeggiante. Scarsa è la coltivazione della vite; rigogliosa cresce la quercia e numerosi sono gli agrumeti. Il territorio è comunque ricco di coltivazioni varie: c’è la coltura dei fichi e di vari alberi da frutta. Anticamente era coltivato il gelso perché favorito dalla mitezza del clima.
La fertilità del territorio fa si che la produzione di ottimi vini e olio siano i principali prodotti della zona; la presenza del gelso anticamente ha favorito l’allevamento del baco da seta che, a sua volta, permetteva la produzione della seta e la conseguente lavorazione artigianale della stessa.
La creatività delle donne ardoresi si esprimeva anche nella lavorazione di altri filati come la canapa. Una lavorazione speciale veniva fatta anche ai fichi, che, dopo essere lasciati essiccare al sole, venivano lavorati in modo artigianale e servivano da cibo calorico e anche da dolce.
La fauna del territorio è numerosa. Scarsa è la selvaggina anche a causa dei tanti disboscamenti che si sono susseguiti. Non è difficile però trovare lepri, volpi, marmotte, faine e puzzole. Tra i volatili: le pernici, le quaglie, le beccacce, i merli, le gazze, le tortore, i colombi selvatici, i cardellini, gli usignoli, le rondini, i pettirossi ecc. La pesca, in questo tratto di mare Jonio, è molto scarsa; ci dà comunque il pesce azzurro, sarde e alici, merluzzi e triglie. Tra i rettili nessuno è velenoso, come nessun animale feroce si annida nel territorio. Molti sono gli insetti che si adattano al nostro clima: i più utili sono le api e il baco da seta.
Il territorio è diviso in tre parti: la pianura sul mare, la collina e i boschi in altura. La parte pianeggiante è costituita da terreni composti da sabbia e argilla. La regione in collina è composta in prevalenza da argilla e tufo. Quella in altura è composta da terreno fertile adatto alle coltivazioni di frumento e patate.
Le piante crescono lussureggianti e numerosissime, oltre ad essere varie: il mirto, l’oleandro, l’alloro, il fico d’India, la palma, la vite, il pino, il mandorlo, l’eucaliptos, la canapa e il lino.
Esistono moltissime piante medicinali come la liquirizia, la malva, la camomilla, la salvia ecc…


 Riti religiosi
I riti della settimana Santa sono particolarmente intensi e importanti, tanto da aggregare le comunità di fedeli in vari momenti.


La settimana Santa si apre con la cerimonia della benedizione delle palme, che evoca l’ingresso trionfale di Gesù in Gerusalemme;  le palme, precedentemente intrecciate e abilmente lavorate, formano magnificamente “conocchie” tra ramoscelli d’ulivo, simbolo religioso di pace, portate in processione accompagnata da canti, per essere benedetti in chiesa. C’è da ricordare che nel nostro paese le palme benedette vengono custodite nelle case, a protezione  della famiglia, fino alla  prossima Pasqua, quando vengono sostituite da quelle nuove; il Triduo Pasquale è il momento culmine della Pasqua. Il Giovedì Santo, nella funzione che vuole ricordare l’ultima Cena, si rinnova il rito della lavanda dei piedi. Il Venerdì Santo inizia con la tradizionale Via Crucis all’ alba ,che vuole ripercorrere il viaggio del dolore fatto da Gesù. Durante tutta la giornata i fedeli visitano le chiese, dove vengono allestiti i sepolcri. La sera, dopo la funzione del bacio della croce, si porta in processione il Cristo morto, una tradizione molto antica e sentita da tutta la comunità che, in processione silenziosa, attraversa il paese nel silenzio con una sola torcia. Il Sabato è un giorno di riflessione fino alla veglia Pasquale, che inizia alle ore 23:00; dopo la benedizione del fuoco e dell’acqua, al rintocco delle campane e al canto del Gloria, si assiste alla resurrezione del Cristo vittorioso, che commuove la comunità dei fedeli. Il giorno di Pasqua è caratterizzato da uno spirito festoso che culmina dopo la Messa, nella caratteristica “ affrontata” che consiste nell’incontro del Cristo Risorto con la madre che, alla vista del figlio, si toglie il manto nero e gli va incontro, procedendo il cammino con gioia.


LA CULTURA CONTADINA NEI PROVERBI

Abbiamo dedicato un po’  del nostro tempo alla ricerca di proverbi per interpretare la saggezza del popolo calabrese che è intrisa in essi .La nostra ricerca non è stata facile perché non abbiamo avuto documenti scritti ed abbiamo dovuto lottare con la memoria un po’  svanita di alcuni anziani quali:nonni,amici e vicini di casa .Siamo riusciti nonostante ciò a raccogliere alcuni proverbi sui mesi dell’anno. Li abbiamo valutati, scritti e commentati in classe.

Gennaio
Jenaru  siccu, massaru riccu
(Gennaio secco, massaio ricco)
L’anno inizia con Gennaio un mese molto freddo e avvolte porta la neve non solo in montagna ma anche sulle nostre strade di marina, questo è un buon segno, perché se il mese di Gennaio è secco si dice che il massaio si arricchisce.

Febbraio
Frevaru,curtu e amaru scorcia i vecchi o focularu
(Febbraio, corto e freddo scotta i vecchi al focolare)
Febbraio è un mese molto freddo e i poveri vecchi anche se sono al focolare sentono il freddo e si scottano.

Marzo
A Marzo ogni stroffa è jazzu
(A Marzo ogni lentisco è ricovero)
Marzo porta la primavera e gli animali non tornano nella tana ma si mettono a riparo ovunque nelle siepi e le giornate iniziano ad essere più calde.
Aprile
Si chiovi ad Aprili ogni goccia esti nu barili
(Se piove ad Aprile ogni goccia vale quanto una botte)
Ad Aprile siamo già in primavera e la pioggerellina fine fine viene apprezzata perché il seminato sta per nascere e le vigne per germogliare.

Maggio
Majiu ortulano assai paglia e pocu ranu
(Maggio piovoso molto paglia e poco grano)
Maggio è un mese di ortaggi, è il mese dei fiori e si produce molta paglia e poco grano.

Giugno
Simina quando voi, ca a Giugnu meti
(semina quando vuoi che a Giugno mieti)
Giugno è un mese molto caldo ed è anche il mese della mietitura; infatti il proverbio ci dice che si può seminare quando si vuole che a Giugno si miete.

Luglio
A Luglietto cacciati ‘ u corpettu e jetta i panni du lettu
(A Luglio togliti il corpetto e leva le coperte dal letto)
Luglio è un mese caldo e tutti indossano abiti leggeri togliendo dal letto le coperte pesanti.

Agosto
Quandu chjovi ad Agustu ogghju, meli e mustu.
(in Agosto quando piove vi è in abbondanza olio, miele e mosto)
Nel mese di agosto siamo già in piena estate, ma se piove si ottengono buoni prodotti olio, miele e mosto.

Settembre
Settembre, è begliu u suli e ventaregliu
(Settembre, è bello il sole il venticello)
Settembre è un mese in cui è piacevole sia la brezza che il sole; infatti è un mese che fa da ponte l’estate e l’autunno.

Ottobre
Ottobri chjovusu , campu fruttusu.
(Ottobre piovoso e campo fruttoso)
Ottobre con le sue piogge è utile ai campi che renderanno raccolti fruttuosi.

Novembre
A Santu Martinu ogni mustu  esti  vinu.
(a San Martino ogni mosto è vino)
A Novembre c’è un periodo allietato da belle giornate ; si dice che siano mandate da questo Santo.

Dicembre
Dicembri mbacuccatu , raccoltu assicuratu
(Dicembre freddo,raccolto assicurato)
Dicembre essendo un mese freddo , permette ai semi messi nel terreno di crescere e di poter così germogliare



LE NOZZE DI IERI


A noi ragazzi è piaciuto molto raccogliere  dagli anziani informazioni su come  venivano celebrate le nozze un tempo, specialmente fra i contadini:                                                                                                                                                                                       La  cerimonia, si svolgeva in modo solenne e in allegria. Le donne sposate erano vestite sfarzosamente, per lo più con il loro abito da sposa. Al matrimonio partecipavano parenti, vicini di casa e con comuni vestiti di festa . Con gioia, i novelli sposi venivano accompagnati in chiesa dove un sacerdote li univa in matrimonio. Una volta finita la cerimonia, gli sposi andavano per le vie del paese e venivano accolti da parenti e amici con gioia e facendo loro una grande festa. Gli amici e i parenti più stretti, al loro passaggio gettavano confetti mescolati  a petali di fiori finti, soprattutto di rose e tante monetine. Durante questo gesto, i bambini presenti facevano a gare per raccogliere i confetti e i soldini e tutto era una gran festa. Se gli sposi passavano nelle vie dove abitavano gli amici più stretti, questi  appendevano degli archi e delle strisce colorate. Dopo il tragitto si giungeva alla casa dello sposo, dove si teneva un gran banchetto, si suonava, si ballava e si cantava fino a tardi. Durante i festeggiamenti  le ragazze cantavano dolci canzoni per quel felice avvenimento. A tal proposito ve ne presentiamo uno che esprime tanta gioia e letizia:
Auguri per le nozze.                               
I stiji chi stiji sunnu  jungiuti  (Le stelle con le stelle si sono unite)                                                                                                                        U suli ca luna s’acchucchiaru  (Il sole e la luna si sono sposati)                                                                                                                        Si sposaru dui belli ziti  (Si sono sposati due bei fidanzati)                                                                                                                   A rosa russa e u gigliu in perzuna   (La rosa e il giglio in persona)                                                                                                                     A zita ndavi i megliu bellizzi  (La fidanzata ha le migliori bellezze)                                                                                                                    U zitu ndavi nu modu aggrazziatu  (Il fidanzato ha un modo aggraziato)                                                                                                             U Signuri i vi manda chigliu chi voliti  (Che il Signore vi mandi quello che volete)                                                                       Fijji, ricchizzi e grazi in quantità  ( Vi auguro tanti figli)           

IL NONNO RACCONTA:
                             
Spinti  dalla curiosità e dalla grande  voglia di sapere  quali erano le condizioni di lavoro dei nostri nonni e dei nostri antenati, abbiamo intervistato alcuni nostri anziani. Uno di loro ci ha raccontato che, anche lui da giovane lavorava come “Jornataru” cioè giornaliero nella terra dei  pochi latifondisti di quel tempo: “I nguri”. Non era il solo poiché  come lui stesso ci ha raccontato, c’erano tanti altri compaesani  che svolgevano lo stesso lavoro. La giornata lavorativa era lunga e faticosa, iniziavano all’ alba e  finivano al tramonto al  calar del sole, “I suli a suli”. Non c’ era  sosta  nel  intervallo  per  potersi  riposare  un poco.  Solo all’ ora  di pranzo, seduti  all’ ombra  di un  albero o di una siepe, mettevano in bocca solo qualche  tozzo di pane raffermo,  qualche fico secco o qualche castagna. Altri invece avevano la possibilità di mangiare  anche del pane  con olive e pomodoro  e  qualche  pezzetto  di carne salata, il tutto veniva  accompagnato  da un boccale  di acqua  fresca ,  contenuta nella così detta  “ bonbonella”,un  recipiente di terra cotta, o di un sorso di vino. Questi lavoratori a giornate non venivano retribuiti adeguatamente, e  riuscivano per questo  appena   appena   ad assicurarsi  la sopravvivenza  per un solo giorno: “U jornataru   na   jornata   cacciaru  faru”. Raramente  riuscivano a migliorare la  loro condizione economica.  Questo  avveniva solo in alcuni casi  come se, venivano  assunti  all’ interno  del podere  come piccoli coloni solo così  potevano avere qualche manciata di cibo  in più. A tale proposito  il nostro saggio  nonnino ci ha recitato  un canto  popolare, pieno di amarezza e sofferenza  per il  duro lavoro. Questo canto,  noi ragazzi lo  abbiamo  voluto  proporre  trascrivendolo  cosi come veniva cantato:  
“u zzappaturi sempi zzappa, zzappa
E sordi ‘nat la pezza non di ngruppa
La sira si racogghji trampa trampa
si caccia li stivali e vai i si curca.”



La condizione dei nostri nonni era dunque di essere sfruttati  dai loro padroni, poiché  questi non gli davano la giusta paga , ma erano anche rassegnati perché non  avevano il  coraggio  di ribellarsi  per paura di perdere il lavoro. Un'altra cosa bella  che ci ha raccontato questa persona è il pensiero mattutino del “ Jornataru":
            “canta ‘u  goghju   e  jhiacca  l’ alba                                                                                                                         sugniu  arzzatu, ma ancora e scuru                                                                                                                                                                          guardu   ‘u  tempu e partu i prescia                                                                                                                                                                                         c’a sinno’  perdu u  lavuru”.


DOLCI NATALIZI CALABRESI
Tra i dolci di Natale calabresi troviamo i Mustaccioli calabresi il Dolce albero di Natale , la Stella di  Natale, il croquembouche di Natale e gli alberi di Natale brownies                

MUSTACCIOLI CALABRESI
I Mustaccioli  sono croccanti biscotti di origine calabrese impastati con farina e miele, dalla caratteristica consistente dura e compatta.




IL DOLCE ALBERO DI NATALE
Il dolce albero di Natale è una splendida torta  delle feste il cui impasto contiene, mandorle, nocciole e nessuna farina ma pangrattato.

LA STELLA DI NATALE
La Stella di Natale  è una torta soffice pan di Spagna farcito con una deliziosa crema all’arancia e ricoperta con una glassa colorata .

CROQUEMBOUCHE DI NATALE
Il croquembouche è un dolce tipicamente francese :un’idea alternativa per le feste  Natalizie! Una terra di bignè

ALBERI DI NATALE BROWNIS

Gli alberi di Natale brownis sono di deliziosi dessert monoporzionali di grande effetto: stupiranno i vostri ospiti sulla tavola imbandita 



PER SAPERNE DI PIU’
…Ecco a voi la ricetta di nonna Rosa


LE CIAMBELLINE


GLI INGREDIENTI PER REALIZZARLE
500kg di farina
200ml di latte
50ml di olio di oliva
1 cucchiaio di zucchero
1 pizzico di sale qb.
1 uovo
1cubbetto di lievito di birra

PROCEDIMENTO
Sciogliere il lievito di birra nel latte tiepido con un 1 in cucchiaio di zucchero e lasciare riposare 10 minuti. A parte versare la farina, fare la fontanella e aggiungere pian piano tutti gli ingredienti compreso il lievito sciolto nel latte. Impastare il tutto e lasciar riposare per 15 minuti l’impasto coperto da un canovaccio. Trascorso il tempo lavorare l’impasto formando delle ciambelline che andranno a riposare con un vassoio coperto da un canovaccio per un’ ora circa. A questo punto friggere le ciambelline passarle nello zucchero smaltato.

TRADIZIONI POPOLARI SUL NATALE

Anticamente, nel territorio ardorese  venivano preparati vari dolci, soprattutto in occasione delle feste natalizie. Molto tempo fa venivano preparate delle frittelle addolcite col miele, che erano la delizia dei più piccoli.
Una tradizione ancora viva, prima nelle famiglie benestanti, oggi in tutte le case, è la preparazione di dolciumi con farina, zucchero, sugna e frutti e ancora addolciti col miele, che si chiamano “pignolata” o “cicerata”.
Molto gustose sono le “sammartine”, ripiene di uva passa, mandorle, noci e vari aromi.
Fa parte della tradizione una specialità preparata con fichi secchi imbottiti di mandorle o noci, poi aromatizzate e cotte al forno, che, sistemate a forma di croci, vengono chiamate “crucetti”.
Un altro dolce tipicamente natalizio sono le caratteristiche “nacatuli”, anch’esse  fritte, e le crespelle dolci.
Tipiche della tradizione di Natale sono anche le zeppole con le sarde, il cui profumo inondava le vie del paese sin dalla mattina perché le famiglie si preparavano a ricevere gli auguri dalla serenata con un bicchiere di vino e due zeppole calde.
Un'altra tradizione natalizia della vigilia era la preparazione del cenone di Natale, che era molto ricco: stocco, baccalà, broccoli, alici... vino e dolci tradizionali.
Era obbligatorio mangiare tredici pietanze.
Una tradizione legata al Natale erano i giochi con le nocciole: questo gioco iniziava dal periodo della festa dell’Immacolata, che apriva ufficialmente le feste natalizie. A questo proposito, vogliamo ricordare un proverbio dialettale legato proprio al Natale: “u sei è di Nicola, l’ottu è di Maria, u tridici di Lucia e u vinticincu du veru Misia”


I PRODOTTI TIPICI DI ARDORE
Il nostro paese vanta antiche usanze che lo portano ad essere amato, visitato, nell’arco di tutto l’anno da tantissima gente. Non a caso molti nostri concittadini, che oggi si trovano a vivere in altre città d’ Italia o all’ Estero conservano nel  loro cuore dei ricordi che li tiene legati a questa “nostra terra”. Ricordi, fatti di tradizioni, cultura, usi e costumi. Tra le molte tradizioni, vi è una in particolare molto bella legata alla tipica cucina calabrese fatta di ingredienti semplici e saporiti, che  vantano una grande e forte saggezza popolare. Ingredienti quali: il peperoncino dolce o piccante utilizzato in molte pietanze e nella conservazione della carne di maiale e cinghiale, l’origano selvatico che accompagna in modo eccellente una buona e gustosa insalata di pomodori freschi e invernali, il rosmarino, la menta, la salvia e  altri odori che vanno ad insaporire soprattutto i secondi piatti a base di carne e di pesce.
La nostra terra però vanta anche una ricca tradizione pasticciera fatta di: crespelle (nocatole), San Martine, grandi ravioli di ricotta e cioccolato (jaluna), le gute, la pignolata (cicerata) e tanti altri ancora; questi vengono realizzati soprattutto  durante le festività: Natale, Pasqua, Nozze e via dicendo. Ed è per questo che noi ragazzi, vista la bontà e la ricchezza dei nostri prodotti abbiamo deciso di ricordarne alcuni con l’ intento di non solo farli conoscere a voi tutti ma anche amare e gustare queste nostre specialità.
·        Le peschine; ricottine; jianuli (dolci a base di ricotta); zippuli; crespelle; zippularia chi micciunati; zippularia; capocollo; n’ duia; bocca notti.
Le verdure tipiche sono:
Liquirizia di Calabria DOP; funghi di giffone; broccoli di rapa; asparago selvatico della calabria; misi ( verdura, funghi e spezie); finocchietto selvatico di Calabria e i peperoncini piccanti calabresi.

Le perle calabresi:
Il bergamotto; il cedro; la cipolla rossa di Tropea; le clementine di calabria; il limone “sfusato” di Favazzina; la liquirizia e il peperoncino.                                                   


Approfondiamone alcuni:
Il bergamotto
Le origini del bergamotto sono avvolte nel mistero.     È certo, però che questo frutto ha il suo terreno migliore anzi l’ unico, nella provincia di Reggio Calabria, tanto che il bergamotto, citrus bergamia, coltivato tra Villa San Giovanni e Monasterace, nel 1999 si è guadagnato il marchio DOP ( Denominazione di origine protetta).
Il cedro
Di remota origine asiatica, come quasi tutti gli agrumi, ma giunto in Europa già in tempi antichissimi, il cedro si coltiva in Calabria sin dal III secolo a.C. grazie alle popolazioni Ebraiche che qui fondarono le colonie.
I Latini ritenevano che il cedro crescesse qui  per motivi naturali e climatici. Anche oggi il cedro viene usato molto spesso.

La cipolla rossa di Tropea
La cipolla rossa ( allium cepa, “ il bulbo ardente”)  trova il suo habitat migliore in Calabria, nella zona compresa tra Capo  Vaticano e Tropea. Probabilmente originaria  dei monti della Turchia e dell’ Iran, circa duemila anni fa è stata introdotta nella nostra regione dai Fenici.

RAVIOLI RIPIENI




Ripieno
 Ricotta di pecora 400 g
1Zucchero a velo 100 g scorza d’arancia
1 tuorlo
1 baccello di vaniglia
Cannella in polvere ½
1 cucchiaino di ( gocce di cioccolato fondente ) 100g
Scorza di limone 100g
Ammorbidire il burro metterlo

Ingredienti
Farina 00 ( 500 g )
Zucchero 100 g
Burro 100 g
1 tuorlo
1 baccello di vaniglia
1 pizzico di sale
Latte intero ( 200 g )

Per friggere: olio di girasole

Procedimento:
In una ciotola  unire la farina, lo zucchero e un pizzico di sale ed amalgamare il tutto aiutandosi con le mani.
In un’altra ciotola, sbattere il tuorlo dell’ uovo con il latte e versarlo poco a poco, nella ciotola con lo zucchero, farina e burro. Impastare fin quando non si sarà ottenuto un composto liscio ed elastico e lasciare riposare l’impasto avvolto in una pellicola trasparente per un ora in frigorifero.

Nel frattempo preparare il ripieno: unire la ricotta, 10g di zucchero a velo, il cioccolato a scaglie, il tuorlo dell’uovo tenendo da parte l’albume per poi montarlo a neve. Stendere il panetto a sfoglia sottile e tagliare dei quadrati e al centro mettere una noce di ripieno. Sigillare bene i bordi con i rebbi di una forchetta e friggere in olio caldo fino a doratura. Togliere i ravioli e lasciarli raffreddare su un foglio di carta assorbente. Una volta raffreddati, spolverare lo zucchero a velo.

CARCIOFI RIPIENI AL SUGO

Si prendono i carciofi, si puliscono togliendo le foglie due esterne, si lavano al centro e si mettono a bagno in acqua e limone per far si che non diventino neri. In una ciotola mescolare insieme per grattare il formaggio e aglio e pane. Prendere i carciofi e asciugarli su un canovaccio. A questo punto si riempiono i carciofi con il composto in precedenza, una volta finito di riempire i carciofi si sbattono delle uova con del sale e pepe. 
NOI E IL NOSTRO TERRITORIO
                                                                                                                                                      
I giochi di strada antichi come l’ uomo.
I bambini di ogni tempo e cultura hanno giocato all’ aperto. Ma  è curioso scoprire come alcuni dei giochi praticati per la strada, come la “settimana”, le “biglie” oppure la “trottola” siano davvero universali, sono infatti giocati dai bambini di tutto mondo da secoli.             
                                   


La “settimana”…                                     
Avete mai giocato alla settimana?
Ho provato a chiedere ai miei nonni se hanno mai giocato al gioco della settimana, quando erano bambini.
E bene ! Mi hanno detto che questo era un gioco che loro facevano molto spesso, insieme ai loro compagni. Giocavano in piazza o lungo le strade, dove c’era un po’ di spazio per poterlo fare, il nonno inoltre mi ha spiegato le regole di come veniva giocato.

La regola.
Si gioca più o meno così:
Si traccia uno schema per terra con un certo numero di caselle. Dopo aver tirato un sasso in una di queste, si salta su un piede solo  percorrendole tutte. Non si devono pestare le righe, né con il piede, né lanciando il sasso. Molti di voi forse lo conoscono con il nome di “campana” o “ gioco del mondo”.
Ma chi di voi sa che questo gioco è talmente antico che nessuno è riuscito a scoprire dove e da chi sia stato inventato?
Uno dei più antichi disegni della settimana risale all’epoca di Roma. È tracciato sul suolo del foro romano. Durante l’espansione dell’impero, le legioni costruivano strade selciate che collegavano le principali colonie.
Queste superfici erano ideali per giocare alla settimana, gioco che i soldati romani insegnarono ai ragazzi della Francia, della Germania, e della Gran Bretagna. Ma è molto diffuso anche nel resto del mondo, dall’Europa agli Stati Uniti, alla Russia, alla Cina, e in tanti altri Paesi del mondo. È pure vero che i nomi e le varianti con cui questo gioco è conosciuto sono innumerevoli.


Il salto della corda


Se anche non conoscete la settimana, avrete sicuramente, almeno giocato al salto della corda, o l’avrete visto fare a tanti bambini. Il nonno mi dice anche che il salto della corda è uno dei giochi le cui origini si perdono nella notte dei tempi; questo perché nessuno sa esattamente in quale momento delle storia i nostri antenati abbiano cominciato a trasformare in gioco alcune abilità indispensabili per sopravvivere. Durante queste azioni, il più delle volte i piccoli osservavano e successivamente imitavano gesti dei più grandi. Anche oggi, essendo un ragazzo in crescita, molto spesso imiti nei loro comportamenti e modi di fare, non solo i tuoi genitori ma anche noi nonni.
Probabilmente, tutto cominciò  con le gare di salto dei torrenti o dei sassi, giochi che da sempre i bambini di tutto il mondo continuano a fare. Poi man mano nel corso del tempo, ci si servì di un materiale filtrante, come una liana; questo perché era necessario creare una semplice corda o fune per poter saltare. Ma se facciamo, ancora, un salto nel tempo possiamo scoprire che nel XIX, secondo l’ autore di un libro sui giochi inglesi si ricorda che nella stagione del luppolo si prendeva un gambo di questa pianta, che privandola di foglie diventava un’ ottima corda per saltare.
Il gioco delle biglie                                                   
Da secoli si tirano le biglie nel mondo intero e questo gioco, già conosciuto nell’ antico Egitto e nella Roma Paleocristiana era popolarissimo nel medioevo. Durante alcuni scavi archeologici effettuati a Siena, Roma e Pistoia sono venuti alla luce alcuni esemplari di biglie risalenti ai secoli XIV e XV.
Si tratta di piccole sfere, di diametro di circa due centimetri, in terracotta o in pietra.
Quelle in pietra potevano essere ricavate levigando piccoli ciottoli di fiume. E proprio i sassi di fiume probabilmente furono le prime biglie. Ma si giocava anche con i noccioli di alcuni frutti come le pesche oppure con le noci e con le nocciole. Col passare del tempo, le biglie furono confezionate con altri materiali, come la terracotta e il vetro e, più recentemente, con l’ acciaio.

Curiosita’     
Biglie per tutti i gusti.
I bambini inglesi distinguono le biglie a seconda delle diverse varietà: ce ne sono di meno pregiate dette COMMONEYS , che sono le biglie comuni e di più preziose , come le ALLEYS, biglie di alabastro.
Tra queste ultime, le più quotate sono quelle dette “ di sangue”, cioè di un bianco purissimo venato di rosso.
In inglese le biglie si chiamano MARBLES, termine che probabilmente indica il materiale con cui venivano confezionate originariamente, il marmo. Le biglie non sono mai state appannaggio esclusivo dei ragazzi.
Se facciamo un salto nel tempo, possiamo scoprire che vi è un incisione del XVII secolo che ritrae degli aristocratici francesi che si divertivano a giocare al Ponate, cioè a far passare le biglie attraverso alcune porte.



Le trottole
La trottola è un gioco le cui origini risalgono da più di 2000 anni fa, dato che il politico romano Catone lo consigliava ai genitori come passatempo per bambini; questo gioco, sosteneva essere preferibile a quello dei   dadi.
Si gioca arrotolando uno spago intorno alla parte superiore della trottola e tirando un colpo secco.  Devi sapere però che esistono anche le trottole a manico lungo, che vengono messe in moto facendo girare rapidamente il manico tra i palmi delle mani.
Nell’antichità i Romani giocavano a TURBO ( che è il nome latino della trottola ). Per poter giocare a questo gioco, si disegnava per terra un grande cerchio diviso in dieci settori numerati. A ogni settore corrispondeva un punteggio, era necessario far roteare la trottola posizionandola sul centro.
I giocatori guadagnavano punti a seconda del settore cui la trottola si fermava.

Un salto nel passato – Trottole nel mondo
Le trottole erano molto diffuse in Europa, ma anche fra gli Indiani d’America, molto prima dell’arrivo degli Europei.      Nel Nord America si giocava soprattutto in inverno, sul ghiaccio. Gli Inuit cercavano di far compiere alle trottole il giro della case senza che si fermassero. In Africa, invece si scavano delle scanalature per farle fischiare.
Ma se facciamo un salto in estremo oriente, notiamo che si trovano trottole di ogni tipo e dimensione e in Giappone, devi sapere, che esiste una fiorente tradizione artigianale per la loro fabbricazione.
Naturalmente, ogni artigiano si distingue per originalità e fantasia: vengono fabbricate persino trottole “partorenti” che girando liberano trottole più piccole.
Nel Borneo e in Nuova Guinea infine gli indigeni fanno girare le trottole dopo la semina: è un rito destinato a stimolare la crescita dei germogli.                                                   

                                     I  GIOCHI TRADIZIONALI  DI UN TEMPO
NELLA TRADIZIONE CALABRESE

Nel mio paese, i giochi hanno avuto sempre un ruolo importante sia per grandi che per piccini.  Una volta non essendoci smartphone e videogiochi, i ragazzini ci si divertiva all’aperto creando  nuovi giochi o giocando a quelli già esistenti.
 Alcuni di essi erano:
·        “U battimuru”, che consisteva nel lanciare una monetina contro il muro e chi la faceva cadere il più vicino alla base sarebbe stato il vincitore.
·        “U cucuzzaru” ogni giocatore chiamato “cucuzza” veniva numerato, il gioco terminava quando restava un solo partecipante. Le eliminazioni avvenivano quando a rispondere al comando era la ”cucuzza” sbagliata.
·        “Murettu”, gioco che fa ancora oggi parte del “calcio di strada”, si doveva colpire il muro con il pallone e tirare di testa prima che il pallone toccasse terra.
·        “Mucciatejja”, che sarebbe l’ attuale nascondino.
·        “U iocu da campana”, che consisteva nel saltare in caselle numerate
·        “Bussaporte”, è una specie di gioco che consisteva nel bussare alle porte e scappare prima che gli altri aprissero, molto spesso però questo gioco finiva male perché i proprietari delle case si arrabbiavano e i ragazzi venivano rimproverati o rincorsi.
·        “Mazza i Giacoffi”, consisteva nel far alzare un legno con un bastoncino e mentre era in aria, colpirlo al volo.


In quegli anni questi giochi erano molto importanti e facevano divertire le passate generazioni. Da questa ricerca ho capito che non sempre bisogna avere tutti i comfort ma ci si può divertire anche con poco, è sufficiente un bastoncino per svolgere un gioco o ancor più,  avere un muretto sul quale appoggiarsi per inventarne di nuovi. È stato bello per me fare un salto nel passato e poter ricostruire quel mondo gioioso fatto di balocchi e piccoli oggetti con i quali i nostri genitori e i nostri nonni trascorrevano il loro tempo libero.


                   IL GIOCO DELLE BIGLIE
Da secoli si tirano le biglie nel mondo intero e questo gioco , già conosciuto nell’antico Egitto e nella Roma prècristiana era popolarissimo nel medioevo. Durante alcuni scavi archeologici effettuati a Siena, Roma e Pistoia, sono venuti alla luce alcuni esemplari di biglie risalenti ai secoli XIV XV.
Si tratta di piccole sfere del diametro di circa 2 cm in terracotta o in pietra. Quelle in pietra potevano essere ricavate levigando piccoli ciottoli di fiumi e proprio i sassi di fiume probabilmente furono le prime biglie, ma si giocava anche con i noccioli di alcuni frutti come le pesche, oppure con le noci e le nocciole. Col passare del tempo le biglie furono confezionate con altri materiali come la terracotta e il vetro e più recentemente con l’acciaio.


LE TROTTOLE
La trottola è un gioco,le cui origini risalgono a più di duemila anni fa, dato che il politico romano Catone lo consigliava ai genitori come passatempo per bambini; questo gioco, sosteneva di essere preferibile a quello dei dadi. Si gioca arrotolando uno spago intorno alla parte superiore della trottola e tirandolo con un colpo secco. Devi sapere però che esistono anche le trottole a manico lungo, che vengono messe in moto facendo girare rapidamente il manico tra le palme delle mani. Nell’antichità i Romani giocavano al TURBO (che è il nome latino delle trottole). 

Per poter giocare a questo gioco,si disegnava per terra un grande cerchio diviso in dieci settori numerati. A ogni settore corrispondeva in punteggio, era necessario far roteare la trottola posizionandola sul centro. I giocatori guadagnavano punti a seconda del settore in cui la trottola si fermava.

5 commenti:

  1. Congratulazioni a docente e agli studenti per questo meraviglioso progetto 🏆👏👏
    M Raschellá

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  2. Era ora prof! Non vedevamo l'ora di vedere pubblicati i nostri lavoretti 🎉🎉🎉

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    1. Hei cumpà..mi hai battuto. Stavo scrivendo la stessa cosa ehehe

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  3. Risposte
    1. Prof Nastasi sei riuscita a farci pensare alla scuola anche ora che é finita.
      Mitica sei tu.

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